Archivio per November, 2008
La preparazione dell’insegnante montessoriana
Pubblicato da Marcella De Carli
Alla domanda: “Che cos’è il suo Metodo?” Maria Montessori rispondeva: un aiuto alla vita che si svolge in ogni bambino.
Chiunque aderisca a questo pensiero deve accettare di mettersi in gioco e di rivedere il proprio vissuto giorno per giorno, abbracciando l’idea che per formare gli altri sia necessario formare prima se stessi.
Insegnare è innanzitutto un lavoro di grande revisione su di sè.
Il bambino, con i suoi bisogni e con la sua capacità di coinvolgere, è in grado di mettere in discussione le certezze dell’adulto; ecco allora che se l’insegnante si viene a trovare su una linea di revisione continua del proprio lavoro e anche della propria persona, l’esperienza con i bambini (insieme alle difficoltà che questa comporta) può essere affrontata come una risorsa, alternativamente, se l’adulto si sente “arrivato” finisce per porsi in un atteggiamento di pregiudizio secondo il quale “è il bambino che sbaglia”.
“Il primo passo per un’insegnante Montessoriana è l’autopreparazione. Essa deve tener viva la sua imaginazione, perché nelle scuole tradizionali l’insegnante conosce il comportamento immediato dei suoi scolaretti e sa che deve aver cura di essi e cosa deve fare per istruirli; mentre l’insegnante Montessoriana ha davanti a sé un bimbo che, per così dire, non esiste ancora. Questa è la differenza principale. Le insegnanti che vengono nelle nostre scuole devono avere una specie di fede che il bambino si rivelerà attraverso il lavoro. Esse devono staccarsi da ogni idea preconcetta che riguardi il livello a cui i bambini possono trovarsi.”
(Maria Montessori - Preparazione dell’insegnante Montessoriana- da “La mente del bambino”, pag 275)
Religione, il dogma in aula, un’ora che vale un miliardo
Pubblicato da Marcella De Carli
Un articolo comparso su Repubblica del 25 ottobre 2007 a firma di Curzio Maltese
La Spagna studia la revisione degli accordi con la Chiesa
In Italia invece non se ne parla neppure
di CURZIO MALTESEL’ultima ondata di bullismo nelle scuole ha convinto il governo a istituire dal prossimo anno due ore di educazione civica obbligatoria, chiamata Cittadinanza e Diritti Umani, in ogni ordine d’ insegnamento, dalle materne ai licei. Durissima la protesta dei vescovi, che hanno parlato di “catechismo socialista” e invitato le associazioni di insegnanti e genitori cattolici a scendere in piazza e avvalersi dell’obiezione di coscienza. Il presidente del consiglio ha risposto in televisione che, nel rispetto totale della maggioranza cattolica del paese, la laicità dello Stato resta un valore fondante della democrazia e l’educazione civica non è né può essere in competizione con l’ora facoltativa di religioni (cattolica come ebraica, islamica o luterana) già prevista nei programmi. Il premier ha aggiunto di voler confermare i tagli ai finanziamenti delle scuole private cattoliche e non, definiti “un ritorno alla legalità costituzionale” rispetto alla politica del precedente governo di destra. A questo punto forse il lettore si sarà domandato: ma dov’ ero quando è successo tutto questo? In Italia. Mentre la vicenda naturalmente si è svolta altrove, nella Spagna del governo Zapatero, otto mesi fa. Il braccio di ferro fra stato laico e vescovi è andato avanti e oggi il governo spagnolo studia addirittura una revisione del Concordato del 1979. Una realtà lontana da noi.
Nelle scuole italiane, più devastate dal bullismo di quelle spagnole, l’ora di educazione civica è abolita nelle primarie e quasi inesistente nelle superiori. Lo Stato in compenso si preoccupa di tutelare il più possibile l’ora di religione, al singolare: cattolica. Quanto ai finanziamenti alle scuole private cattoliche, in teoria vietati dall’articolo 33 della Costituzione (”Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato”), l’attuale governo di centrosinistra, con il ministro Fioroni all’Istruzione, è impegnato al momento a battere i record di generosità stabiliti ai tempi di Berlusconi e Letizia Moratti.
L’ora facoltativa di religione costa ai contribuenti italiani circa un miliardo di euro all’anno. E’ la seconda voce di finanziamento diretto dello Stato alla confessione cattolica, di pochi milioni inferiore all’otto per mille. Ma rischia di diventare in breve la prima. L’ultimo dato ufficiale del ministero parla di 650 milioni di spesa per gli stipendi agli insegnanti di religione, ma risale al 2001 quando erano 22 mila e tutti precari. Ora sono diventati 25.679, dei quali 14.670 passati di ruolo, grazie a una rapida e un po’ farsesca serie di concorsi di massa inaugurati dal governo Berlusconi nel 2004 e proseguita dall’attuale.Il regalo del posto fisso agli insegnanti di religione è al centro d’ infinite diatribe legali. Per almeno due ordini di ragioni. La prima obiezione è di principio. L’ora di religione è un insegnamento facoltativo e come tale non dovrebbe prevedere docenti di ruolo. Per giunta, gli insegnanti di religione sono scelti dai vescovi e non dallo Stato. Ma se la diocesi ritira l’idoneità, come può accadere per mille motivi (per esempio, una separazione), lo Stato deve comunque accollarsi l’ex insegnante di religione fino alla pensione.
L’altra fonte di polemiche è la disparità di trattamento economico fra insegnanti “normali” e di religione. A parità di prestazioni, gli insegnanti di religione guadagnano infatti più dei colleghi delle materie obbligatorie. Erano già i precari della scuola più pagati d’ Italia. Nel 1996 e nel 2000, con due circolari, i governi ulivisti avevano infatti deciso di applicare soltanto agli insegnanti di religione gli scatti biennali di stipendio (2,5 per cento) e di anzianità previsti per tutti i precari della scuola da due leggi, una del 1961 e l’altra del 1980. Il vantaggio è stato confermato e anzi consolidato con il passaggio di ruolo, a differenza ancora una volta di tutti gli altri colleghi.
L’inspiegabile privilegio ha spinto prima decine di precari e ora centinaia di insegnanti di ruolo di altre materie a promuovere cause legali di risarcimento. Nel caso, per nulla remoto, in cui le richieste fossero accolte dai tribunali del lavoro, lo Stato dovrebbe sborsare una cifra valutabile fra i due miliardi e mezzo e i tre miliardi di euro. A parte le questioni economiche e legali, chiunque ricordi che cos’ era l’ora di religione ai suoi tempi e oggi chiunque trascorra una mattinata nella scuola dei figli non può evitare di porsi una domanda. Vale la pena di spendere un miliardo di euro all’anno, in tempi di tagli feroci all’istruzione, per mantenere questa ora di religione? Uno strano ibrido di animazione sociale e vaghi concetti etici destinati a rimanere nella testa degli studenti forse lo spazio d’ un mattino. Pochi cenni sulla Bibbia, quasi mai letta, brevi e reticenti riassunti di storia della religione.
In Europa il tema dell’insegnamento religioso nelle scuole pubbliche è al centro di un vivace e colto dibattito, ben al di sopra delle vecchie risse fra clericali e anticlericali. Nello stato più laico del mondo, la Francia, il regista Regis Debray, amico del Che Guevara e consigliere di Mitterrand, a suo tempo ha rotto il monolitico fronte laicista sostenendo l’utilità d’ inserire nei programmi scolastici lo studio della storia delle religioni. In Gran Bretagna la teoria del celebre biologo Roger Dawkins (”L’illusione di Dio”), ripresa dallo scienziato Nicholas Humprey, secondo il quale “l’insegnamento scolastico di fatti non oggettivi e non provabili, come per esempio che Dio ha creato il mondo in sei giorni, rappresenta una violazione dei diritti dell’infanzia, un vero abuso”, ha suscitato un ricco dibattito pedagogico. Ma è un fatto, sostiene Dawkins, che “noi non esitiamo a definire un bambino cristiano o musulmano, quando è troppo piccolo per comprendere questi argomenti, mentre non diremmo mai di un bambino che è marxista o keynesiano, Con la religione si fa un’eccezione”.
In Germania, Spagna, perfino nella cattolicissima Polonia di Karol Woytjla, il dibattito non si è limitato alle pagine dei giornali ma ha prodotto cambiamenti nelle leggi e nei programmi scolastici, come l’inserimento di altre religioni (Islam e ebraismo, per esempio) fra le scelte possibili o la trasformazione dell’ora di religione in storia delle religioni comparate, tendenze ormai generali nei sistemi continentali. In Italia ogni timido tentativo di discussione è stroncato sul nascere da una ferrea censura. L’ora di religione cattolica è un dogma. La sola ipotesi di affiancare all’ora di cattolicesimo altre religioni, come avviene in tutta Europa con le sole eccezioni di Irlanda e dell’ortodossa Cipro, procura un immediata patente di estremismo, anticlericalismo viscerale, lobbismo ebraico o addirittura simpatie per Al Quaeda. Quanto ad abolirla, come in Francia, è un’ipotesi che non sfiora neppure le menti laiche.
Gli unici ad avere il coraggio di proporlo sono stati, come spesso accade, alcuni intellettuali cattolici. Lo scrittore Vittorio Messori, per esempio: “Fosse per me cancellerei un vecchio relitto concordatario come l’attuale ora di religione. In una prospettiva cattolica la formazione religiosa può essere solo una catechesi e nelle scuole statali, che sono pagate da tutti, non si può e non si deve insegnare il catechismo. Lo facciano le parrocchie a spese dei fedeli~ Perciò ritiriamo i professori di religione dalle scuole pubbliche e assumiamoli nelle parrocchie tassandoci noi credenti”.
Messori non manca di liquidare anche gli aiuti di Stato alle scuole cattoliche, negati per mezzo secolo dalla Democrazia Cristiana, inaugurati con la legge 62 del 10 marzo 2000 dal governo D’ Alema con Berlinguer all’Istruzione, dilagati nel periodo Berlusconi-Moratti (con il trucco dei “bonus” agli studenti per aggirare la Costituzione) e mantenuti dall’attuale ministro Fioroni, con giuramento solenne davanti alla platea ciellina del meeting di Rimini. “Lo Stato si limiti a riconoscere che ogni scuola non statale in più consente risparmio di danaro pubblico e di conseguenza conceda sgravi fiscali. Niente di più”.
Il cardinale Carlo Maria Martini, da arcivescovo di Milano, aveva dichiarato che l’ora di religione delle scuole italiane doveva ritenersi inutile o anche “offensiva”, raccomandando di raddoppiarla e farne una materia seria di studio oppure lasciar perdere. La Cei ha sempre risposto che l’ora di religione è un successo, raccoglie il 92 per cento di adesioni, a riprova delle profonde radici del cattolicesimo in Italia. Ma se la Cei ha tanta fiducia nei fedeli non si capisce perché chieda (e ottenga dallo Stato) che l’ora di religione sia sempre inserita a metà mattinata e mai all’inizio o alla fine delle lezioni, come sarebbe ovvio per un insegnamento facoltativo. Perché chieda (e sempre ottenga) il non svolgimento nei fatti dell’ora alternativa. In molte materne ed elementari romane ai genitori è stato comunicato che i bambini di 5 o 6 anni non iscritti all’ora di religione “potevano rimanere nei corridoi”. Prospettiva terrorizzante per qualsiasi madre o padre.
D’ altra parte la sicurezza ostentata dai vescovi si scontra con l’allarme lanciato nella relazione della Cei dell’aprile scorso sul progressivo abbandono dell’ora di religione, con un tasso di rinuncia che parte dal 5,4 delle elementari e arriva al 15,4 per cento delle superiori (con punte del 50 non solo nelle regioni “rosse” come la Toscana o l’Emilia-Romagna ma anche in Lombardia e nelle grandi città), man mano che gli studenti crescono e possono decidere da soli. Alla fine nessun argomento ufficiale cancella il dubbio. L’ora di religione, così com’ è, costituisce davvero un insegnamento del catechismo (”che in ogni caso ciascuno si può portare a casa con poche lire” ricordava don Milani) o non piuttosto un altro miliardo di obolo di Stato a san Pietro?
(Hanno collaborato Carlo Pontesilli e Maurizio Turco)
Gli I.R.C. nell’era Gelmini
Pubblicato da Marcella De Carli
Forse per paura di perdere un certo consenso, di allontanare qualche genitore coinvolto nel risucchio dell’Onda, forse perchè pochi in realtà si sono ancora fermati a pensarci. Non so perchè, ma di questo non si parla: l’ora di religione nella scuola pubblica.
La scuola pubblica è laica per costituzione, eppure tra gli insegnamenti troviamo la RELIGIONE CATTOLICA.
A partire dai 3 anni in tutte le scuole statali di ogni ordine e grado (anche nelle scuole paritarie, pena la perdita della parifica) esiste un insegnante scelto dalla Curia e pagato dallo Stato (cioè da OGNI cittadino) che per due ore alla settimana tiene lezioni di morale ai nostri figli.
Ma a tutti sembra normale?
Comunque tranquilli….Marystar taglia tutto, taglia i laboratori, le compresenze, le uscite didattiche, persino l’inglese (che verrà insegnato dalle maestre comuni dopo un corso di 150 ore!!!!) ma non toccherà in alcun modo l’insegnamento della religione cattolica!
G8 Genova 2001 - Onda 2008
Pubblicato da Marcella De Carli
Non c’ero a Genova il 20 luglio 2001. Nemmeno il 21. Non c’ero, non potevo, anche se il dubbio rispetto al fatto di andarci o meno mi era venuto. Provavo invidia per chi c’era, volevo fare parte anch’io di quel movimento bellissimo di persone diverse tra loro, giovani e anziani, laici e cattolici, tutti in strada per dire “vogliamo un mondo più giusto”. Ero incinta del mio primo bambino che sarebbe poi nato il 7 agosto. Però mi ricordo tutto bene, benissimo. Ricordo che all’inizio sembrava che il massimo della trasgressione fosse esporre le mutande dai balconi. Poi, a un certo punto, tutto è cambiato. Ricordo la notizia della morte di Carlo Giuliani, mentre ancora non si sapeva bene e si parlava di un ragazzo spagnolo, le interviste ai suoi genitori i giorni dopo. Ricordo il massacro alla scuola Diaz. Ricordo la mia frustrazione e la rabbia e la voglia di esserci. E ricordo la manifestazione a Milano: c’era un’aria pesante, davvero tesa, non mi era mai capitato di sentirmi così…in pericolo.
Oggi la sentenza su quella che è stata definita una “macelleria messicana” mi ha ributtato di colpo a quei giorni, alla sensazione di impotenza e di ingiustizia . Di vergogna per loro.
In questi giorni un nuovo movimento sta nascendo in Italia, è forte, intelligente e mobile: un’onda. Anche oggi persone “normali” che non hanno paura di chiedere di essere ascoltate: genitori, bambini, docenti, ricercatori, studenti, bidelli, segretari, dirigenti…tutto il mondo della scuola si sta muovendo e lo fa con allegria e creatività.
Purtroppo qualche giorno fa mi è riapparso un fantasma: il vecchio intoccabile Cossiga che incita al massacro. Mi sono arrabbiata ma ho provato anche un po’ di pena per quest’uomo, ormai anziano, che ha dentro di sè tanto odio. Oggi, che di figli ne ho tre e che sono una di quelle maestre (anche se non una ragazzina) che Cossiga vorrebbe picchiata dalle forze dell’ordine, pur rendendomi conto che l’Italia non è mai stata così lontana dal concetto di democrazia, incredibilmente sento di non avere più paura. Io non ho paura. Sono preoccupata, triste, arrabbiata ancora, ma non ho paura. Non ce l’hanno fatta con me.
La disciplina
Pubblicato da Marcella De Carli
Gli adulti considerano la disobbedienza una sfida, come se l’obbedienza fosse cosa ovvia, un’equazione: ”Il rapporto con l’adulto raggiunge il massimo quando il bambino obbedisce”.
Il bambino che disobbedisce viene considerato “cattivo”, come se la bontà corrispondesse ad un bambino fermo, tranquillo, che non si muove e non si agita.
Nell’inconscio collettivo c’è un grande disagio di fronte ad un bambino che non obbedisce.
Diventa necessario porsi degli interrogativi: “Che cos’è l’obbedienza? Noi come adulti ci sentiamo di dover obbedire a qualcuno? Perché?”.
Non è forse vero che aderiamo alle regole se le sentiamo nostre, se riconosciamo l’autorevolezza di chi le fa rispettare?
In un paragone con la legge data a Mosè nella Bibbia, Maria Montessori sottolinea come nell’educazione siano importanti le due “L”: legame e legge.
Non si può pretendere la disciplina, poiché non è una cosa ovvia sapere “obbedire”. Perché il bambino aderisca alle richieste che gli vengono mosse è necessario che egli abbia instaurato una relazione con chi gliele muove, che abbia creato un legame.
Inoltre l’obbedienza è un’espressione dello sviluppo e di conseguenza segue sempre delle tappe, non è pensabile che sia un fatto spontaneo.
Non si può chiedere ad un bambino quello che lui non è in grado di dare; è importante valutare l’età e il momento, dare tempo.
Il bambino conosce l’obbedienza, perché da quando è nato ha obbedito alla mente assorbente, manifestando disagio quando il suo lavoro di assorbimento non poteva seguire il suo ritmo naturale: il bambino obbedisce a leggi di natura, ma spesso sono gli adulti che gli impediscono di farlo.
Se l’adulto allora lo segue, lo rispetta e obbedisce con lui a queste leggi, nel bambino nascono fiducia e stima nei confronti di questa persona; se vengono rispettati i suoi bisogni, diventa naturale la corrispondenza con l’accettazione del limite e il bambino si mostra capace di accogliere i “no”.
Chi lavora con i bambini deve tenere in considerazione che ciascuno di loro è portatore di vissuti differenti e che l’organo psichico della volontà è ancora incompleto nel bambino fino a 5/7 anni.
A 2 anni, l’età del “no”, il bambino realizza di avere una volontà: l’adulto cercherà di capirlo, di accoglierlo, mantenendo la fermezza nelle decisioni, praticando strade di contorno.
A partire da questa età si può aiutare il bambino nel cammino verso l’obbedienza, caratteristica che serve per sviluppare il senso critico e quindi anche per imparare a disobbedire.
La maestra deve saper riconoscere la diversità del mondo dell’infanzia da quello degli adulti: spesso a parole si dice che i bambini sono diversi dagli adulti, ma poi questi finiscono per trattarli come se fossero uguali a loro.
E’ necessario pensare al presente, a ciò che il bambino vuole fare oggi, non al fatto che questo gli servirà domani (anche se poi sarà così): se si pensa ad un bambino che impara a salire e scendere dalle scale, ad esempio, si deve tenere presente che il motivo che lo spinge a farlo è il piacere di fare, non vive la motivazione futura, non sa che gli servirà.
Il bambino gode nell’imparare, obbedendo alle leggi di natura: se viene lasciato libero di sperimentare il proprio limite nelle sue azioni avverrà in lui un cambiamento.
Nasce così una sorta di autoguarigione, la scoperta di un nuovo piacere a stare con gli altri, che si fonda su un mutamento profondo dell’individuo.
Il processo di normalizzazione, come lo definiva Maria Montessori, avviene attraverso l’attività
“ Il lavoro perfeziona interiormente il bambino; ma il bambino che si è perfezionato lavora meglio e il lavoro migliorato lo affascina, quindi continua a perfezionarlo interiormente.
La disciplina dunque non è un fatto, ma una via, sulla quale il bambino conquista, con precisione che potrebbe dirsi scientifica, il concetto della bontà.
Ma più che altro assapora i godimenti supremi dell’ordine interiore che si raggiunge a traverso le conquiste conducenti al proprio fine.”
( Maria Montessori – La disciplina nella Casa dei Bambini – da “La scoperta del bambino”, pagg.332/333)
Il limite al senso di onnipotenza del bambino viene allora dato indirettamente, nell’organizzazione del lavoro, a piccoli passi.