Archivio per la categoria 'Pensieroni'
Ai bimbi di Gaza
Pubblicato da Marcella De Carli
Faber
Pubblicato da Marcella De Carli
Ricordando Fabrizio De Andrè
Pubblicato da Marcella De Carli
Questa sera avrei dovuto essere in piazza del Duomo, con la chitarra a cantare le sue canzoni. Me ne sto a casa, invece, ma in diretta con Annalisa, a cui devo queste parole bellissime. Grazie
Sono 10 anni e sembra ieri. Quando ho saputo che Fabrizio De André si era spento, ho semplicemente pianto.
Sembra buffo: non lo avevo mai conosciuto di persona, non avevo mai assistito ad un suo concerto… ma le sue canzoni erano state il mio pane. Mi avevano nutrito, sostentato, sostenuto, rinnovato. Erano state insegnamento, ridimensionamento, ragguaglio. Un faro nella tempesta, una figura paterna.
La sera stessa io e Fabietto andammo in piazza Duomo con gli altri e con la chirarra… Fabietto… che per non piangere mi stritolò una mano. Lui che, probabilmente, le emozioni aspetta che esplodano prima di riconoscerle e lasciarle andare.
E lì, proprio davanti al Duomo, avvenne una delle cose più belle che mi siano mai capitate: il barbone olandese che bazzicava abitualmente da quelle parti, mentre si cantava “Creuza de’ ma”, decise di regalarci un effetto speciale: tagliò la manica del suo giubbotto e improvvisò una nevicata di piuma che invase le chitarre, i convenuti, chi cantava, chi passava. Era bianco dappertutto e lui danzava, ubriaco e felice, sotto la pioggia leggera che si rinnovava ad ogni manciata… e la poesia della neve ci scaldava.
Era come se in quei fiocchi bianchi, caldi e impalpabili, ci fossero le mille parti di noi, così sbigottiti e persi, così sorpresi del nostro pianto, così insicuri ma con la certezza che, nel suo ricordo, ogni piuma che ci sfiorava per poi evitarci per la sua leggerezza, era “una goccia di splendore” che Fabrizio ci inviava.
Per questo tornerò in piazza Duomo stasera, per ricordare lo splendore che mi investì quella notte, nell speranza di riscaldarmi un po’.
In attesa che sia un buon anno, o che sia quello buono
Pubblicato da Marcella De Carli
Buon anno ai bambini e alle maestre
di Arturo Ghinelli, maestro elementare
Bambini, per il nuovo anno vi auguro tante mitiche sorprese.
- Una mamma e un papà che vi vogliano tanto bene senza se e senza ma. Di modo che possiate sentirvi sempre sicuri e non vi facciate mai prendere dalla paura, come capita sempre più spesso ai grandi.
- Una classe unica per tutti a scuola, indipendentemente dal paese di provenienza dei genitori, perché per fare amicizia con il vostro compagno di banco non gli chiedete il passaporto, vi basta che accetti di giocare, le parole verranno dopo…
- Una scuola aperta tutto il tempo necessario per imparare a stare con gli altri e per assaporare la cultura e la storia degli uomini e delle donne che sono stati bambini prima di voi.
- Una città che cresca con voi e vi ascolti prima di decidere come e cosa cambiare, perché ha capito che una città a misura di bambino è a misura di tutti.
- Un paese in cui ci siano più maestre che carabinieri, più bidelle che poliziotti, se non altro perché ci sono più bambini che delinquenti.
- Un mondo che tolga dalle strade i bambini abbandonati, tolga loro la fame, ne abbia cura e li istruisca utilizzando i soldi che prima spendeva per fare le guerre.
Alle maestre auguro invece di restare nel cuore dei propri ragazzi, così che, una volta diventati grandi, non avranno dubbi sulla necessità di scendere in piazza in difesa delle maestre.
- Una scuola che metta al centro il bambino e faccia affidamento sulla professionalità delle insegnanti.
- Una città che si ponga come vero e proprio ambiente d’apprendimento e perciò faciliti il lavoro delle insegnanti.
- Un paese che scommetta sulla formazione di tutti i suoi cittadini di ogni età e perciò investa capitali sull’aggiornamento delle insegnanti.
- Un mondo che in ogni suo angolo, anche il più remoto, offra gli insegnanti necessari ad aprire le scuole per tutti i bambini senza distinzione di sesso, razza o religione.
Infine faccio mio l’augurio che fece Gianni Rodari tanti anni fa:
“È difficile fare le cose difficili: parlare al sordo, mostrare la rosa al cieco.
Bambini imparate a fare le cose difficili: regalare una rosa al cieco, cantare per il sordo, liberare gli schiavi che si credono liberi.“*Le maestre lo sanno e ci provano ogni giorno.
*Speciale Gianni Rodari, “Il Giornale dei genitori”, pag. 58-59, 1980
G8 Genova 2001 - Onda 2008
Pubblicato da Marcella De Carli
Non c’ero a Genova il 20 luglio 2001. Nemmeno il 21. Non c’ero, non potevo, anche se il dubbio rispetto al fatto di andarci o meno mi era venuto. Provavo invidia per chi c’era, volevo fare parte anch’io di quel movimento bellissimo di persone diverse tra loro, giovani e anziani, laici e cattolici, tutti in strada per dire “vogliamo un mondo più giusto”. Ero incinta del mio primo bambino che sarebbe poi nato il 7 agosto. Però mi ricordo tutto bene, benissimo. Ricordo che all’inizio sembrava che il massimo della trasgressione fosse esporre le mutande dai balconi. Poi, a un certo punto, tutto è cambiato. Ricordo la notizia della morte di Carlo Giuliani, mentre ancora non si sapeva bene e si parlava di un ragazzo spagnolo, le interviste ai suoi genitori i giorni dopo. Ricordo il massacro alla scuola Diaz. Ricordo la mia frustrazione e la rabbia e la voglia di esserci. E ricordo la manifestazione a Milano: c’era un’aria pesante, davvero tesa, non mi era mai capitato di sentirmi così…in pericolo.
Oggi la sentenza su quella che è stata definita una “macelleria messicana” mi ha ributtato di colpo a quei giorni, alla sensazione di impotenza e di ingiustizia . Di vergogna per loro.
In questi giorni un nuovo movimento sta nascendo in Italia, è forte, intelligente e mobile: un’onda. Anche oggi persone “normali” che non hanno paura di chiedere di essere ascoltate: genitori, bambini, docenti, ricercatori, studenti, bidelli, segretari, dirigenti…tutto il mondo della scuola si sta muovendo e lo fa con allegria e creatività.
Purtroppo qualche giorno fa mi è riapparso un fantasma: il vecchio intoccabile Cossiga che incita al massacro. Mi sono arrabbiata ma ho provato anche un po’ di pena per quest’uomo, ormai anziano, che ha dentro di sè tanto odio. Oggi, che di figli ne ho tre e che sono una di quelle maestre (anche se non una ragazzina) che Cossiga vorrebbe picchiata dalle forze dell’ordine, pur rendendomi conto che l’Italia non è mai stata così lontana dal concetto di democrazia, incredibilmente sento di non avere più paura. Io non ho paura. Sono preoccupata, triste, arrabbiata ancora, ma non ho paura. Non ce l’hanno fatta con me.