Archivio per la categoria 'Scuola'
Lettera aperta di una maestra ai pedagogisti italiani
Pubblicato da Marcella De Carli
creato da Maria Rosaria Cimino 27/01/2009
Questa lettera nasce principalmente da un dubbio che già da qualche anno mi perseguita e che le ultime decisioni sulla scuola hanno notevolmente esasperato: noi operatori e operatrici, teoriche e teorici dell’educazione siamo veramente consapevoli di ciò che, in assenza di qualsiasi controllo democratico, si sta facendo e decidendo sulla scuola? Del disegno di società che si va prefigurando? E questo, ci interessa?
I grembiulini, il 5 in condotta, la bocciatura alle elementari, la riduzione delle ore di lezione, l’aumento progressivo del numero di alunni per classe, il depotenziamento del sostegno ai diversamente abili, la soppressione di interi istituti scolastici, accanto all’inamovibilità dell’insegnamento della religione cattolica ed all’introduzione del maestro unico (termine evocativo di pensiero unico?), mi sembrano elementi più che sufficienti a veicolare un’idea di scuola non più inclusiva ma classista, non più educativa ma autoritaria e omologante, non comunità ma istituzione totale volta al consenso.
Forse sarò un po’ estrema nelle mie deduzioni, ma è netta la sensazione che nella prospettiva emergente la scuola sarà destinata a fornire spessore culturale al compito finora assolto dai mass-media: spegnere ed intorbidire ogni capacità critica, addomesticare il pensiero divergente veicolando disvalori e falsa democrazia.
Non che mi aspetti una levata di scudi dal mondo accademico, da sempre un po’ reticente ad esplicitare il proprio pensiero al di fuori delle aule universitarie, ma mi farebbe piacere sapere cosa dirà, a partire da oggi, chi quotidianamente spiega il senso dell’educazione e le teorie della pedagogia a futuri “improbabili” insegnanti: forse che sarebbe meglio frequentare un corso per conduttore televisivo o, perché no, di esperto di marketing, visto che la scuola del futuro sarà prioritariamente impegnata a reperire fondi e sponsor che ne garantiscano la sopravvivenza?
Sono realmente indignata e, forse, incapace di mantenere la giusta distanza emozionale per una valutazione obiettiva, ma ciò non mi impedisce di pensare che ridurre la complessità dei fenomeni educativi ad un’ottica economicista o meramente normativa non sia una svista, ma una scelta consapevole: l’estrema semplificazione favorisce un approccio minimalista ai problemi e, di conseguenza, l’accettazione di soluzioni a basso grado di elaborazione.
Non dovrebbe essere necessario scomodare Lewin per avere chiara l’idea che la scuola è parte del sistema sociale generale e, come tale, interagisce, condiziona ed è condizionata dal tutto.
Non posso e non voglio “vivere”in una scuola caserma dove il controllo sostituirà la relazione, la repressione il dialogo, il giudizio la valutazione e dove dubbio, critica e memoria non avranno alcun diritto di cittadinanza.
E’ ancora possibile unire specificità e competenze educative per dare insieme un orizzonte di senso a ciò che si va decidendo per tutti noi? Mi auguro di sì.
Non-riforma Gelmini & Co. raccontata alle mamme fuori da scuola
Pubblicato da Marcella De Carli
Sarà il caso di capire un po’ che cosa potrebbe accadere e che cosa accadrà. Con parole semplici.
Il mio bambino più grande, Marte (Matteo per gli ottusi), frequenta la seconda elementare in una scuola di Milano, modello tempo pieno. Ha due insegnanti contitolari, che significa che hanno pari responsabilità e pari peso sul percorso educativo della classe, dividendosi gli ambiti disciplinari ma definendo insieme modalità, tempi e iter di apprendimento. Vuol dire che sì si dividono in materie, ma che si confrontano, che osservano e riferiscono, che, nei momenti di compresenza (4 ore settimanali) lavorano insieme con la classe: possono attivare dei lavori di piccolo gruppo o seguire i bambini individualmente, fare laboratori e uscite. Ciascuna delle due lavora per un totale di 24 ore settimanali, di cui 18 da sola con la classe, 4 con la collega e 2 di programmazione.
Sebastiano (Tian per gli amici) andrà in prima l’anno prossimo e l’unica cosa certa per ora è che ancora non è iscritto. Per il resto quello che ci aspetta è confuso e preoccupante. Scampato il pericolo grembiulino adesso vengono le cose serie. La maestra prevalente che farà le sue 24 ore con la classe, l’altra (che ricorda tanto “quella del pomeriggio” degli anni ‘70) che ne farà 18, offrendo 6 ore all’organico della scuola . Cioè? E’ un’altra storia, un’altra filosofia…e non mi piace.
E da quello che si legge (ma la Gelmini ha imparato dal capo e quindi si afferma e si smentisce da sola un giorno sì e l’altro pure, quindi prendiamo con le pinze il tutto), dato che le compresenze non ci saranno più nemmeno in seconda, terza, quarta e quinta, la filosofia cambierà anche per i bambini che già frequentano. E non solo. Sarà facile anche che cambino gli insegnanti a causa della confusione che deriverà dalla revisione delle graduatorie provinciali.
Insomma, quello che è certo è che ogni scuola si attrezzerà con il personale che le verrà assegnato e lì starà ai Dirigenti, più o meno illuminati, e ai Collegi docenti inventarsi qualcosa perchè i nostri bambini possano continuare ad avere le loro insegnanti e magari anche qualcosina in più. Ci sono ipotesi che parlano di tempo pieno con le compresenze in prima e seconda e spezzatino invece nel secondo ciclo (terza, quarta, quinta). Altre che si immaginano orari diversi a seconda del periodo scolastico, con le compresenze per alcuni mesi e per altri no…
A me sembra ancora una volta che la gente se le voglia bere proprio tutte. E forse se lo merita. Se non fosse che continuo a credere che i figli non debbano pagare per le colpe dei padri.
Lettera aperta di un’insegnante a Brunetta
Pubblicato da Marcella De Carli
Egregio Ministro Brunetta,
sono una veterana, cresciuta tra banchi e cattedre.
Dico veterana perché più che una professione, la mia è stata una vera e propria guerra combattuta in nome dei giovani contro tutto e tutti.
Mi sono decisa a scrivere questa lettera perché “nun ce la faccio chiù!”
La ciliegina sulla torta ?
La penalizzazione economica per i dipendenti in malattia.
Sono d’accordo con lei che in questo grande mondo c’è chi se ne approfitta, ma io cosa c’entro?
Il mio disappunto, sto cercando di usare termini eleganti altrimenti scriverei disappunto con un paio di zeta, è legato al fatto che spesso, a me è appena accaduto, la malattia è causata dall’ambiente di lavoro !
Perché devo essere punita se mi ammalo? Di certo non me la sono cercata ! Se poi la causa sono aule la cui temperatura interna non supera i 10° e l’umidità alle stelle ?
E’ una vera e propria truffa ! Subisco due volte le angherie del sistema !
Se potessi ed intraprendessi una causa, trovando giudici imparziali, sicuramente vincerei.
La perversione del sistema, però non si esaurisce qui. Le mie finanze per ora mi garantiscono la sopravvivenza ma certo non mi danno la possibilità di avviare una simile causa.
Come vede lei è in una botte di ferro ed io come al solito subisco.
Una cosa posso fare protestare e diffondere il mio malessere. Mentre lei taglia io pago !
Forse tra i lettori di questa lettera, sempre che venga diffusa, un po’ ingenua ma vera, ci sarà chi si assocerà e troveremo le forze per appellarci alla nuova angheria.
Io lascio la mia mail e aspetto ……….
Con osservanza
Caleffi
Aggiungerei anche il fatto che essere a casa in malattia oggi equivale agli arresti domiciliari. Con un’ora d’aria, però. Grazie. Ho già sentito storie di persone obbligate a restare a casa per settimane magari per una frattura a un braccio, non voglio immaginare quelli che sono in malattia per problemi legati a depressione…
Piena solidarietà alle educatrici dei nidi e delle scuole dell’infanzia del Comune di Milano
Pubblicato da Marcella De Carli
La faccenda la conosco molto bene, in qualche modo faccio parte della scintilla che ha appiccato il fuoco.
I servizi all’infanzia del Comune di Milano, una volta fiore all’occhiello della città, stanno da anni vivendo una fase di declino, complici giunte interessate più a fare cassa che a investire sul futuro.
Si è iniziato con le esternalizzazioni selvagge, andando ad appaltare a cooperative esterne servizi come la distribuzione dei pasti e le pulizie, con conseguente risparmio sul personale ATA (commessi). Nelle scuole di cinque sezioni fino allo scorso anno erano presenti cinque commessi, da quest’anno sono solo due. Le pulizie vengono fatte da un’impresa al termine dell’orario scolastico mentre i pasti vengono distribuiti dalle cosiddette “scodellatrici” retribuite una vera miseria (mi dicono 6 euro all’ora) per svolgere in poco tempo un lavoro assurdo. Questo non solo comporta uno scadimento del servizio, ma mette anche a rischio la sicurezza di chi a scuola ci vive. Un esempio per tutti: se alla mattina c’è un solo commesso alla porta durante l’ingresso e in classe una sola educatrice con 25/26 bambini (se va bene) e succede qualcosa anche di banale, tipo un bimbo che si fa male o che si sporca, a questo punto o l’educatrice lascia la classe sola, o il commesso, per venire in aiuto, abbandona l’ingresso.
Ma l’esternalizzazione meno sopportabile è, e ormai da anni, quella degli educatori che si occupano del sostegno ai bambini disabili. Questo sia su un piano umano (se la cooperativa perde l’appalto, come è successo, il bambino perde l’educatrice di riferimento e questa viene invitata, se vuole mantenere la continuità nel suo lavoro, a cambiare cooperativa!), sia su un piano professionale (se l’insegnante è riconosciuta come sostegno alla classe e non al bambino, come si giustifica un orrore del genere? Abbiamo educatrici di serie B per bambini di serie B!).
Tanto tanto tempo fa, quando le scuole materne del Comune di Milano facevano gola a qualsiasi educatore (allora si preferiva il comune allo stato!), quando la formazione offerta era interessantissima, arricchente e davvero una risorsa, quando nei nidi e nelle materne si respirava professionalità ed entusiasmo, quando il mestiere era chiaramente una scelta, quando i genitori imparavano dalle maestre, quando si pensava a Milano come città dei bambini, ecco, ci fu un tempo in cui fare questo mestiere era un privilegio. In cui mai veniva a mancare il “significato” del proprio lavoro. In cui si riconosceva, anche economicamente, il valore dell’educatore.
A quei tempi (parlo di una quindicina di anni fa), la famosa sesta ora, l’ora in più quotidiana che il Comune prevede rispetto al contratto statale, veniva retribuita 200.000 lire. Oggi si parla 103 euro.
A quei tempi le educatrici “regalavano” normalmente ore al loro lavoro, perchè erano gratificate e rispettate.
A quei tempi i Centri estivi erano gestiti internamente dal personale del Comune che, per i quindici giorni di lavoro a luglio, veniva retribuito in più e otteneva la possibilità di recuperare alcuni giorni durante l’anno scolastico.
Negli ultimi anni, però, il Comune ha iniziato, come dicevo, ad esternalizzare quanti più servizi tra i quali, appunto, i Centri estivi. Mantenendo l’offerta alle educatrici di lavorarci (sempre con retribuzione aggiuntiva e recupero di giorni), su base volontaria, la copertura dei posti mancanti avveniva tramite appalto esterno. Un tempo, pare, non ce n’era bisogno.
Ora, qualcuno si è chiesto come mai le educatrici si siano disaffezionate al lavoro di luglio? Io ho provato a parlare con alcune di loro e la risposta è che non ce la fanno più; non ce la fanno perchè durante l’anno scolastico sono messe in condizioni di lavoro faticose e sempre più stressanti, con aumento del numero di bambini per sezione, carenza cronica, ormai, di personale, senza più i commessi a dare una mano e, soprattutto, senza più il collante della motivazione al proprio mestiere.
Lo scadimento dei servizi ha fatto sì che alcuni genitori, eletti Presidenti dei vari Consigli di Scuola (ciascuno rappresenta mediamente due o tre scuole dell’infanzia e altrettanti nidi), si siano uniti in mailing list per cercare di muoversi in maniera unitaria e aprirsi ad un confronto con l’amministrazione comunale. Nel fare questo alcuni genitori , a mio avviso “incauti” ma in buona fede, si sono lamentati con l’Amministrazione dell’esternalizzazione dei centri estivi.
E’ accaduto così che il Comune, che non ha mai dato risposta alle altre istanze dei genitori eletti Presidenti, al ricevere questa richiesta abbia precettato le educatrici, avvisandole a giugno, per il lavoro nei Centri estivi, senza nessuna garanzia di sorta circa la retribuzione aggiuntiva e l’eventuale recupero dei giorni durante l’anno scolastico.
Ne è nata una protesta, bella, viva, intelligente. Le educatrici si sono mobilitate e hanno creato disservizi, ma lo hanno fatto spiegando e motivando. Ho partecipato al presidio in Largo Treves ed è stato emozionante. Subito dopo ho fatto parte, come Presidente di Consiglio di Scuola, della delegazione ricevuta dall’amministrazione per un confronto. Ed è stato, non solo deludente, ma perfino imbarazzante.
Oggi mio figlio a scuola non avrà una delle sue maestre, e nemmeno domani. E’ a casa per due giorni a causa di un provvedimento disciplinare che la sospende dal servizio per le assenze “ingiustificate” del mese di luglio (ovvero, coperte unicamente da una lettera del sindacato). E non avrà retribuzione per i quindici giorni non lavorati.
La cosa al limite del ridicolo è che nemmeno le direzioni didattiche erano informate di questi provvedimenti, che hanno colpito tutte coloro che si sono mobilitate a luglio, motivo per cui si sono creati ulteriori disservizi.
Complimenti al Comune di Milano. Dei bambini, intanto, non gliene frega più niente a nessuno.
Rane bollite cotte stracotte lessate
Pubblicato da Marcella De Carli
Rane bollite.
di Michele CorsiGente forse saggia, forse crudele, racconta questa storia. Se una rana viene gettata su una pentola d’acqua bollente reagisce prontamente balzando fuori con un gran salto al solo contatto delle sue zampe col calore. Ma: se mettiamo una rana in acqua tiepida e poi scaldiamo la pentola gradatamente, l’animale non si accorgerà del variare della temperatura e, senza reagire, finirà bollito. Ascoltando questa storia, e quel che accade nella scuola, e il clamore del mondo, mi sono domandato: siamo già rane bollite? Il che equivale a chiedersi: il Male che impera e pervade sempre più le nostre vite ci ha abituato talmente alla sua presenza e invadenza da annichilire le nostre capacità di indignazione? Ci hanno già ucciso e non ce ne siamo accorti? Me lo domando pensando a fatti piccoli e grandi.
A Milano il sindaco Moratti nel giorno più gelato degli ultimi vent’anni ha deciso che tutti sarebbero dovuti andare a scuola, senza aver approntato minimamente i mezzi perché i piccoli cittadini potessero riuscire nella gloriosa impresa. L’ha fatto con la stessa logica dei grembiulini della Gelmini: serve a dimostrare che la destra è cosa seria e non quel baraccone grottesco e tragicomico che conosciamo sin dal Ventennnio. Non si salta la scuola, che diamine! A lavorare, fannulloni! Ai pochi bambini e ragazzi che hanno dato retta alla Moratti, dopo aver rischiato di finire azzoppati sulle lastre di ghiaccio, non è stato consegnato il pranzo o sono state servite scatolette di tonno semicongelato alle quattro del pomeriggio. Il giorno dopo il sindaco invece di dichiarare: scusate, sono una pirla, ha affermato che più dell’80% degli studenti erano in classe. Dunque è pure bugiarda. Mi sono stupito? No. La Moratti è della stessa razza di quelli che in altri tempi chiudevano infastiditi le finestre delle loro dimore principesche quando fuori rimbalzavano le grida di quelli che caricavano sui treni, figuriamoci cosa gliene frega dei bimbi e della neve. Mi sono domandato invece: perché Palazzo Marino non è stato assediato da migliaia di genitori inferociti? La maggioranza dei genitori dopotutto l’ha votata come sindaco. E forse tornerà a farlo. E così mi viene il dubbio: siamo già rane bollite?
A Gaza c’è un milione e mezzo di persone che sono prese a cannonate. Stanno distruggendo sistematicamente tutte le scuole, pure quelle con la bandiera ONU. Un terzo dei morti sono bambini. Il resto vive nel terrore perché da due settimane sta sentendo solo il rumore delle bombe. Tutti i mezzi di informazione stanno ripetendo incessantemente che la colpa è di Hamas e dei suoi razzi e con buonsenso grondante sangue ci dicono: come avremmo reagito noi italiani se ci avessero sparato dei razzi? E non c’è nessuno dei nostri ineffabili progressisti che risponda: sì, ma nessuno ci ha tenuto sotto assedio per due anni, nessuno ci ha cacciato dalla nostra patria, nessuno ci tiene in un lager a cielo aperto. Ci sono state diverse manifestazioni di solidarietà, ma la gran parte dei partecipanti erano arabi. Mi domando: dove sono quelle centinaia di migliaia di italiani che fino all’altro giorno generosamente scendevano in piazza ad ogni accenno di guerra dei potenti del mondo? Ma non si vergognano quelli che non fanno nulla per Gaza se non criticare gli ingenui che bruciano bandiere in piazza? E non mi riferisco solo a “quelli di sinistra”. Tettamanzi ogni tanto dice anche cose giuste, tenendo conto che ha per capo uno che si occupa degli umani solo se non sono ancora nati o sono già morti, ma pure lui s’è dichiarato “turbato” per la preghiera islamica in Piazza Duomo in occasione della manifestazione di solidarietà con Gaza. Al posto suo sarei “turbato” per il fatto che quella piazza non è piena dei suoi assopiti fedeli, intenti invece a far compere nei negozi lì intorno. Ci sono anche palestinesi cristiani, là sotto le bombe, lo sapete? Magari qualche dimostrazione pubblica di solidarietà da parte dei satolli correligionari locali farebbe loro piacere, chissà. Ma quelle di Gaza sono rane in trappola, non rane bollite.
Qualsiasi rappresentante della destra può vomitare in qualsiasi momento insulti e nefandezze e dalla cosiddetta opposizione, comunque, si leveranno penose richieste di “dialogo”. Mi sono domandato spesso come fosse potuto accadere che una masnada di violenti nemmeno troppo intelligenti ottant’anni fa fossero riusciti a mettere nell’angolo forze politiche esperte, colte, radicate. Ora comincio a comprendere come l’arroganza e la stupidità degli uni si alimentino quotidianamente della codardia e della miopia degli altri. In questi mesi di intense lotte del popolo della scuola il ministro ombra dell’istruzione del governo ombra del partito ombra PD, tal Garavaglia Mariapia, ha elargito due fondamentali dichiarazioni finite sui giornali: in una si lamentava che la destra non avesse voluto accordi sulla scuola con l’opposizione, perché fino a 6 miliardi di tagli su 8 ci si poteva mettere d’accordo. La seconda è stata rilasciata per protestare contro i tagli governativi alle scuole private. A tal proposito Mariapia è insorta pubblicamente e… ha vinto. L’unico passo indietro del governo è proprio sul finanziamento alle private, che non verrà ridotto. Grande vittoria del centrosinistra, si direbbe. Rane bollite.
In questi mesi in cui la Gelmini pontificava sul valore pedagogico dei voti in condotta, magari qualcuno di quei 200 e passa baroni universitari che insegnano all’università come fare scuola, senza mai averci messo piede, avrebbe potuto anche sprecarsi in qualche raccolta di firme, articoli, prese di posizione in difesa della scuola pubblica. Ma, ahimé, anche quelli che di tanto in tanto si qualificano “di sinistra”, se ne sono stati in prudente silenzio. Come stupirsi: la gran parte di loro ha lasciato che fossero i sottoposti precari a difendere nelle strade l’università pubblica dove essi stessi lavorano, dunque nulla di strano che non si espongano per difendere la scuola dei bambini. Speriamo che prima o poi qualcuno scriva che il miglior modello pedagogico che l’Italia abbia conosciuto, la scuola a tempo pieno, è stato inventato fuori dai corsi universitari, dalle maestre diplomate, da loro è stato sviluppato e arricchito, e da loro è stato eroicamente difeso con le unghie e coi denti. Chissà con che faccia tosta, razza di baroni bolliti, insegnerete alle nuove generazioni di insegnanti come si fa scuola ai bambini.
I grandi sindacati maggioritari sono molto indignati riguardo all’attuazione della Gelmini. Due di questi però, Cisl e Uil, hanno firmato, in un momento in cui erano meno indignati, il rinnovo contrattuale più basso della storia. 13 euro. Essi sperano così di allontanare il pericolo che il governo la faccia finita con leggi e istituti che assicurano un peso burocratico enorme alle confederazioni. 30.000 funzionari e distaccati. Eppure, se solo questo governo ha un minimo di istinto, non dovrebbe pensarci due volte a fare il passo che permetterebbe anche all’Italia di allinearsi alla realtà degli altri Paesi “avanzati”, dove i sindacati non contano nulla. Lega e PdL non hanno i legami organici con queste organizzazioni come un tempo la DC poteva vantare con la Cisl. Dunque: che gli frega? Accadrà non appena saranno certi che non pagheranno alcun prezzo. E non pagheranno alcun prezzo quando la gente si accorgerà che con sindacati del genere son più i soldi delle trattenute sindacali che gli aumenti contrattuali. Non manca molto, credo. Rane stracotte.Del resto mi pare che nella Cgil regni una sorta di panico strategico. Si muovono come se non puntassero a vincere, almeno una partita su dieci. Lo sciopero del 12 dicembre cui abbiamo ovviamente partecipato era una di quelle iniziative per far vedere che “ci siamo”. Ora però possiamo dircelo: che piattaforma lo muoveva? Si combatte per quale obiettivo? Non vorrei che i grandi capi della Cgil avessero messo in conto una serie di parate per assicurare alla propria base che la Cgil è “contro”, ma senza una vera strategia per mettere la destra in difficoltà, e dunque senza dare troppo fastidio. Nei precedenti governi Berlusconi qualcosa era stato fatto: con le pensioni prima, con l’art.18 poi, vere campagne di massa che puntavano a portare risultati a casa. Oggi non si intravvede nessuna chiarezza di questo tipo. Come popolo della scuola abbiamo detto: fate della difesa della scuola pubblica un nuovo art.18, ma ci sono voluti due mesi prima di arrivare allo sciopero del 30 ottobre, quando dirigenti non dico rivoluzionari, ma semplicemente con un po’ di sale in zucca, avrebbero bloccato tutto sin dal primo giorno, per mandare un segnale chiaro. Hanno detto: e l’unità sindacale? poco prima che gli altri firmassero il contratto separato. Non è stato molto carino, poi, che vi siate fatti abbindolare dalla Gelmini a dicembre seminando confusione e illudendo la gente che un po’ di cose erano state ottenute. Mica vi paghiamo le tessere perchè vi facciate prendere per i fondelli. La destra fa il suo mestiere, che è mentire, voi dovreste fare il vostro, che è, come minimo, non addormentarsi durante le riunioni.
Della sinistra oggi extraparlamentare, per sua fortuna, non si occupa più nessuno. Ogni suo pezzetto grida che si deve stare nei movimenti, in mezzo al fiume, ma si vede lontano un miglio che l’unico interesse che molti di loro nutrono è tener fuori le altre rane dal proprio stagno sempre più piccolo e sempre più nascosto tra i rami. L’unico movimento vero in questi mesi è stato quello della scuola, e noi mica ne abbiamo visti tanti di questi pezzetti gracidare insieme a noi. Forse erano impegnati a organizzare scissioni per costruire l’unità. I sindacati di base ci mettono buona volontà, dopodiché non credo occorra essere dei geni per capire che per fare manifestazioni separate da quelle della cgil sarebbe meglio scegliere una fase in cui la cgil è corresponsabile di qualcosa, e non il momento il cui, con ogni evidenza, la vogliono far secca. Gracidii sprecati.
Cari partiti e sindacati e, come si diceva una volta, sinceri democratici. Non pensate che se il movimento della scuola sarà sconfitto, anche voi, e i vostri progetti, faranno una brutta fine? Noi ce la stiamo mettendo tutta. Siamo ripartiti ora, e in molte città si sta organizzando una campagna di preiscrizioni che dimostri in maniera chiara che i genitori vogliono la scuola del tempo pieno e del modulo, vogliono le compresenze e una scuola di qualità. Siamo una rana che è stata gettata sull’acqua bollente, e che è balzata fuori mentre stivali ferrati vogliono schiacciarci. Siamo molto contenti dei complimenti che ci fate, sì, siamo stati bravi, ora però vorremmo che muoveste rapidamente il culo e che ci deste una mano. Magari aiutando a estendere questa campagna anche nelle città dove il movimento non c’è. Così forse quel qualcuno con gli stivali scivola e si rompe qualcosa, o si tira addosso l’acqua bollente. Non che sia facile nemmeno per noi: inutile negare che ci sia un momento di stanchezza. Però meglio cercare di non farsi acchiappare e continuare a saltare di qua e di là, che starsene calmi e rassegnati dentro a un pentolone facendo finta di non sentire la temperatura che sale. Meglio una rana che salta, che cento bollite.