Archivio per la categoria 'Scuola'
Domande alla ministra sul tempo scuola e la religione
Pubblicato da Marcella De Carli
cara ministra, la prego mi risponda: se per caso l’anno prossimo volessi iscrivere mio figlio in prima , mettiamo, col modello delle 27 ore, considerato che 24 (ma poi nn sono 22?) le fa la maestra prevalente e le altre sono suddivise tra inglese (1 ora), che è materia curricolare, e religione (2 ore) che è invece facoltativa, avendo scelto di nn iscrivere il mio bambino a religione….che cosa mi dice? come facciamo a fare tornare i conti?????? Lei così, senza la compresenza, mi offre solo un modello a 24 ore, uno a 25 (nn 27), uno a 28 (non 30) e, mi scusi, non ho mica capito se il cosiddetto tempo pieno avrà ancora le 4 ore di compresenza delle due insegnanti…no, vero? Una delle due “prevarrà”sull’altra, giusto? e non è che anche qui nel conteggio delle ore mi mette la religione, vero? Sa, perchè io proprio non vorrei che il mio bambino fosse discriminato con un’offerta anche in tempo scuola forzatamente inferiore agli altri bambini….
Non è cambiato nulla!
Pubblicato da Marcella De Carli
Chi da tempo si è arrischiato a leggersi il decreto, il piano programmatico e la legge lo sa, a rischio è stata sempre la compresenza e il concetto democratico di co-docenza.
E così oggi veniamo a sapere che avremo una scuola in cui un solo insegnante sarà comunque responabile del progetto educativo, anche nell’ambito del cosiddetto “tempo pieno”, perchè avremo la maestra “prevalente” e una serie di altre figure che entreranno in gioco finito l’orario di questa: la seconda insegnante nel caso delle 40 ore (se la prima è definita prevalente l’altra come la chiameremo?), nel caso delle 30 ore ci sarà un jolly che coprirà varie classi (che avrà diritto all’insegnamento o farà fare i compiti?), nel caso delle 27 ore ci penseranno inglese e religione (e gli esonerati?) e nel caso delle 24 ore ci sarà solo LEI (che in questo caso garantirà almeno la compresenza con inglese, ci rimane sempre il problema di chi non fa religione).
Allora mettiamole i bastoni fra le ruote e iniziamo ad esonerare il maggior numero possibile di bambini da religione. E poi da gennaio si fa partire una bella class-action (sempre che ci facciano la legge…)
La verità del ministro: «La sinistra mistifica e dice le solite bugie» | |
RAFFAELLO MASCI | |
ROMA La Gelmini ha incassato il colpo dell’Onda e ora deve fare marcia indietro. Così dicono di lei, signora ministro. Cosa replica? «Siamo di fronte ad una ingegneria della mistificazione. Voglio essere chiara subito: il maestro unico resta. Chiaro? Anzi: resta “solo” il maestro unico. Il modulo dei due maestri su tre classi è morto e sepolto per sempre». E chi è invece che mistifica? Ministro, ma qualche cosa è cambiato o no? Adesso si parla di maestro unico come «opzione». Non è stato sempre così. Allora su cosa possono farle? Si spieghi, prego. «Se poi però si sale alle 30 ore o addirittura al tempo pieno di 40 ore, è detto esplicitamente che i maestri sono due. Senta, ministro, ma perché potendo scegliere una scuola a tempio pieno, o con un orario più generoso, una famiglia dovrebbe decidere di tenersi il «modello base» da 24 ore? Non c’era stato un parere della commissione Istruzione della Camera perché alle famiglie venisse data la possibilità di scegliere tra maestro unico e modulo? E’ una mistificazione anche il fatto che ha stoppato la riforma delle superiori di un altro anno? E che cosa ha fatto, allora, dato che ne ha rimandato l’attuazione al 2010? |
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Una lezione da Mario Lodi
Pubblicato da Marcella De Carli
LA CLASSE DEL MAESTRO
Il grande scrittore ed educatore parla del suo metodo per far crescere i bambini delle elementari e farli diventare cittadini consapevoli e maturi.
Ecco la sua lezione di vita.
di Elisa Chiari
Da FAMIGLIA CRISTIANA n° 47 23 novembre 2008Mario Lodi è ancora il Maestro, con le maiuscole. A Drizzona, quattro case e un fazzoletto di campo da Piadena, in piena bruma bassopadana, sanno tutti dove abita. Perché così si usava quando varcò per la prima volta col diploma in tasca la soglia di un’aula, ai tempi in cui il maestro insieme con il parroco, il medico e il sindaco era l’autorità del paese. Eppure Mario Lodi non ha nostalgia della scuola autoritaria di quei tempi. Anzi, è sceso dalla cattedra il primo giorno accontentandosi di una sedia (per mettersi all’altezza dei bambini) e da allora si batte per una riforma da dentro, senza troppi riguardi per le teorie dei ministri d’ogni colore che si susseguono e fanno e disfanno senza sosta. Sperimentò la sua idea di scuola quando ci entrò nel secondo dopoguerra e la risperimenta oggi, a 86 anni, facendo da “chioccia” a un gruppo di maestri giovani sparsi per l’Italia.
A guidarli l’esperienza e le leggi che ci sono già, prima di tutto la Costituzione: “Non per leggerla, ma per viverla, in aula, a sei anni, perché la scuola non può accontentarsi di leggere e scrivere, deve crescere cittadini responsabili”.
Da settant’anni osserva bambini nel tempo e vede più continuità che differenze: “Il mondo è diverso da allora, ma non sono convinto, da quel che vedo frequentandoli, che i bambini di sei anni abbiano esigenze troppo diverse da quelle di sempre. Semmai abbiamo un problema in più da fronteggiare, fatto di Tv e computer che scollano sempre più i bambini dalla vita reale per proiettarli in un eterno virtuale, insinuando in loro la convinzione che l’avere conti più dell’essere e del sapere”.
Rende l’idea con un aneddoto: “Sono stato in una classe poco tempo fa, ho chiesto ai bambini cosa sognassero di fare, uno mi ha risposto ‘il miliardario’, ovviamente in euro, ‘così mi compro due belle ragazze e due macchine’. Gli altri ne hanno fatto subito un leader. Nel ‘mi compro’ c’è un’idea di mondo. Se vogliamo una speranza come scuola dobbiamo inventarci un sistema per fermare questo mercato. Non so se l’idea che ho saprà farlo. Sperimentiamo, poi magari alla fine scopriremo che non vale, ma almeno proviamo”.L’aula come uno Stato
Quel che Mario Lodi sta provando è un’evoluzione adattata all’oggi del suo metodo di insegnamento. La documentazione del progetto è un diario di fogli scritti al computer, registra quel che i maestri con cui è in contatto fanno in classe giorno per giorno, seguendo la sua idea di scuola democratica.
Che vuol dire esattamente?
“I bambini arrivano in classe con un sapere: esplorando il mondo hanno imparato a osservare, a parlare e sviluppato spontaneamente un’enorme mole di conoscenze. Da lì bisogna partire, cominciando a non ignorare le cose che sanno e replicando il metodo con cui le hanno apprese. Un bambino che nasce ha nel pianto il primo strumento per esercitare la libertà di espressione, sa usarlo anche se non sa che esiste l’articolo 21″.
Il problema è che, per usare le parole di Lodi, a scuola l’io deve diventare noi:
“All’inizio, parlando in classe, i bambini fanno confusione, si scavalcano, parlano tutti insieme. Far sperimentare un momento di caos è un modo per far intendere loro l’esigenza di rispettare i tempi e le parole altrui. I primi minuti di discussione ordinata sono il primo successo. Poi viene la cooperazione: immagino una scuola dove si discutono le esigenze e di conseguenza le regole. Tra le prime cose che chiedevo ai miei bambini e che i maestri oggi chiedono ai loro è di darsi da fare assieme per rendere la loro aula più accogliente: la si fa bella con i contributi di tutti, perché così diventa casa e la si rispetta. E’ il nostro antidoto contro il vandalismo”.
Il principio funziona anche con le regole:
“Quando l’io diventa noi, i cittadini dell’aula hanno bisogno di darsi delle norme condivise, perché senza regnano caos e prevaricazione: discutere insieme le regole, darsele democraticamente, significa accettarle. Lo stesso vale per la valutazione: ci si autovaluta, con un linguaggio che i bambini sappiano capire, nel rispetto dei tempi di tutti. Non credo ai voti alle elementari: un bambino di quell’età non può essere sintetizzato a numeri. So per esperienza che far leva sui progressi, sulla soddisfazione, nell’apprendimento paga più della sottolineatura degli errori”.I bambini prima di tutto
“Quando si ragiona di cambiare la scuola”, continua Lodi “lo si fa sempre partendo da un’idea astratta e quando si insegna si tende a farlo dall’alto. Invece io credo che si impari meglio se un maestro parte dal basso, dal punto di vista del bambino, creando continuità con il suo apprendere prima della scuola. Perchè funzioni serve una costante comunicazione con le famiglie, ma è meno difficile di come sembra: se quel che si fa a scuola si traduce ogni 15 giorni in un giornalino le informazioni passano”.
Nella scuola di Mario Lodi il bambino sta al centro:
“E invece spesso le esigenze degli alunni sono l’ultimo pensiero”.
E’ un’idea di scuola, ma di più una realtà, perchè Mario Lodi l’ha messa in pratica per una vita. Dentro c’è un concetto di classe come “fare insieme” che don Lorenzo Milani applicò a Barbiana.
E infatti le classi di Lodi e Milani si scambiarono lettere per un po’:
“Avevo scoperto un po’ per caso che, a distanza, stavamo sperimentando cose simili e sono andato a Barbiana a conoscerlo. Lì è nata la corrispondenza”.
Quando gli chiediamo che ne pensa del maestro unico di cui tanto si discute Lodi risponde che:
“Non è fondamentale che siano uno o tanti, dipende tutto da come sono. Anche il tempo pieno l’abbiamo inventato noi, a Barbiana e a Vho di Piadena, ma non è un valore in sé, conta quel che ci metti dentro: se è un parcheggio non serve a niente”.
Vengono in mente le parole di don Milani:
“Gli amici mi chiedono come faccio a far scuola e come faccio ad averla piena. Insistono perché io scriva per loro un metodo, che io precisi per loro i programmi, le materie, la tecnica didattica. Sbagliano la domanda, non dovrebbero preoccuparsi di come bisogna fare per far scuola, ma solo di come bisogna essere per fare scuola”.
Nessuno, né don Milani che non c’è più da tanto tempo, né Mario Lodi che a 86 anni ancora insegna delle cose, si è mai illuso che fosse facile tradurre in realtà gli ideali.
Ma non sembra una buona ragione per non provare.
Spunti di riflessione sulla scuola da Grazia Honegger Fresco
Pubblicato da Marcella De Carli
Per parlare di scuola da dove cominciare?Ecco alcuni spunti provocatori:- I bambini, che dovrebbero essere i protagonisti del proprio processo formativo, sono da sempre recettori passivi di adulti che parlano (in casa come a scuola, del resto) e questo a 2 come a 7 come a 12 come a 16 anni. Ci sono qua e là forme superficiali di partecipazione, ma in sostanza la realtà è un immobile pantano: è come se i bambini (o i ragazzi) avessero solo orecchie per ascoltare, dita per tenere una penna e sfogliare pagine e natiche per stare seduti. E questo è tanto più grave per quanto sono giovani.No, i bambini e i ragazzi non sono nella mente di nessuno.- I piccoli del nido sono trattati come adolescenti: tutti in gruppo a fare a comando travasi o pittura. Gli adolescenti sono trattati come bebè: monadi da tenere accuratamente separate - non devono aiutarsi, tanto meno progettare insieme. I bambini delle materne devono riempire schede, colorare figure stereotipate, imparare canzoncine (le solite!) nonché fare lavoretti, di regola “aggiustati” dalle maestre. Quanto alle elementari – strombazzate come le migliori al mondo – i ragazzini sono trattati come adolescenti: cambiano maestra ogni ora o due, hanno testi obbligatori (regalati dallo Stato) difficili da capire anche dai loro genitori; costretti a imparare tutto in astratto, aritmetica e geometria comprese, devono affrontare argomenti complessi, come ad esempio la biologia cellulare o la critica dei film.- Si protesta contro il maestro unico perché oggi molti insegnanti non vogliono più fare lo sforzo di essere informati anche su storia, anche su musica, anche su… Occorrono esperti su ogni area disciplinare, neanche si fosse al liceo, e non importa se poi l’inglese è parlato da persone con forte accento piemontese o napoletano o se il disegno non ha più niente di personale e di creativo.Perché piuttosto non si utilizzano due maestri in compresenza per condividere la cura individuale dei loro allievi, alcuni dei quali forse svantaggiati - si tratti del cosiddetto iperattivo o di quello molto lento e un po’ trasognato, del ragazzino sordo o dell’altro appena arrivato dal Maghreb? Altro che classi-ponte! In un’età così delicata e importante per la crescita, come si costruisce un’immagine unitaria e priva di pregiudizi di questo o quel bambino?C’è una sorta di scarico di responsabilità che non si risolve nelle poche o tante riunioni tra docenti, come dimostra - e pesantemente - la vita nella scuola media, né d’altra parte gli insegnanti ricevono, negli anni della laurea o dopo, adeguata preparazione circa le differenze tra un’età e l’altra e l’attenzione sacrosanta dovuta a ogni individuo per le sue differenze personali.No, questa non è una scuola su misura dei bambini.Né quella che abbiamo né quella che vogliono con la riforma darci. È la mia idea. Volentieri mi confronto con la vostra.
Ma la scuola che abbiamo ci piace davvero?
Pubblicato da Marcella De Carli
La difendiamo, perchè non si lascia morire un moribondo, perchè quel che di sano rimane stanno cercando di farlo sparire e a quello ci attacchiamo, alle belle esperienze e alle belle persone. Ma non mi sembra sufficiente. Ora che abbiamo fatto di tutto per salvarla, proprio ora dobbiamo anche cercare di ridarle dignità.
Per farlo però è necessario uscire dalla logica di autocelebrazione che molti stanno abbracciando: ben felice di conoscere storie di ottime insegnanti, di bambini felici, di genitori entusiasti, penso che la realtà dei fatti vada almeno un po’ ridimensionata. Esistono infatti bravi maestri e cattivi maestri, così come ottime sezioni e pessime sezioni all’interno di uno stesso istituto, e ottimi istituti e pessimi istituti. Si dirà “che scoperta”, ma sembra che sia vietato dirlo, e allora lo dico.
Una scuola che funzioni sempre e per tutti non può e non deve affidarsi alla fortuna e al caso.
In questo periodo sembrano essersi congelate le critiche sulla scuola che non va, o meglio, sembra che tutto sia causa e colpa d’altri (politiche di ieri e di oggi) e che la responsabilità personale venga meno in un gioco in cui, per unire, non ci si può dire ciò che non funziona.
E’ proprio qui che si perdono consensi, soprattutto dei genitori. Perchè non per tutti l’esperienza scolastica dei figli è la migliore possibile, anzi. Di maestrine dalla penna rossa è ancora piena l’Italia, così come di insegnanti che invocano il voto in condotta come strumento di controllo perchè umiliare i bambini con note e castighi non basta, il tempo pieno con i tempi rilassati non è ovunque ed esistono moltissime realtà in cui alle otto ore a scuola seduti immobili al banco si aggiungono quotidiani compiti a casa.
E allora forse è ora di iniziare a dire che cosa c’è dentro questa scuola che vorremmo, che però ancora non c’è. Almeno non per tutti.